Anche se a “fucile caldo”, è possibile tentare una prima analisi – ovviamente approssimativa – degli scontri di Nassiriya basandosi su fonti giornalistiche e interviste dei protagonisti.
Come noto, la battaglia si è svolta a Nassiriya, città di circa 200.000 abitanti, nella zona dei tre ponti sull’Eufrate che separano la parte nord da quella sud. Il nemico era composto dagli irregolari arabi della milizia fedele al leader sciita estremista Moqtada Al Sadr. Secondo fonti israeliane, tale milizia può contare su circa 10-12.000 combattenti, con un nocciolo duro composto da 3.000 fedelissimi, addestrati ed equipaggiati da istruttori militari iraniani e libanesi di Hezbollah.
Nella parte nord di Nassiriya erano presenti almeno 600 combattenti, appoggiati da civili disarmati, dotati di fucili AK-47, mortai, lanciarazzi anticarro RPG e mitragliatrici, con una larga disponibilità di munizioni. Sembra anche che i sadristi si siano trincerati con postazioni di sabbia pressata e filo spinato all’aperto, oltre alla creazione di centri di fuoco all’interno e sui tetti delle abitazioni locali.
La mancanza di basi militari italiane in città – chiuse dopo l’attentato del 2003 – e di una polizia locale efficace, ha favorito la libertà di movimento dei guerriglieri e il mantenimento senza problemi delle loro linee di comunicazione e rifornimento. Comunque, è bene ricordare sempre che creare più basi militari equivale ad avere più obiettivi da difendere.
La battaglia è stata preceduta da un crescente clima di tensione che ha portato al ridimensionamento della normale attività operativa dei reparti italiani ed è stata, infine, innescata dall’occupazione militare dei ponti dai ribelli sciiti e dal conseguente ordine del comando britannico di ripristinare la libera circolazione. Lo Stato maggiore della Difesa nazionale ha aderito alla richiesta britannica e il generale Chiarini, comandante del contingente italiano, ha avuto luce verde per l’attacco.
L’operazione “Porta Pia” ha coinvolto oltre 500 militari italiani: un reggimento di bersaglieri, una compagnia del San Marco, uno squadrone del Savoia cavalleria, elementi del Gruppo Intervento Speciale dei Carabinieri e i paracadutisti del Tuscania. La colonna meccanizzata, composta da 60 veicoli di vario tipo e 8 blindati Centauro, ha iniziato il movimento alle 3 di notte del 6 aprile dispiegandosi nel settore sud della città.
Una volta arrivata in vista della sponda nord dell’Eufrate, la colonna è stata fatta segno di ripetute raffiche di fucileria e lancio di bombe di mortaio e razzi (ne saranno sparati almeno 400 durante tutta la battaglia). Gli italiani hanno risposto al fuoco con l’armamento individuale e di squadra sbriciolando anche, con 3-4 colpi da 105 mm ben assestati dei Centauro, una palazzina vicina al terzo ponte presidiata da cecchini (individuati dall’alto dagli elicotteri).
Mentre i blindati proseguivano l’avvicinamento al terzo ponte, la compagnia del San Marco, 90 uomini divisi in due plotoni meccanizzati e uno motorizzato, è riuscita ad attraversare il primo ponte a est e ad attestarsi sulla sponda opposta; il comandante ha allora chiesto rinforzi che si sono concretizzati in due VCC. Questi ultimi sono stati entrambi centrati da una granata RPG: una è rimasta inesplosa, l’altra ha ferito tre uomini (durante gli scontri è stato centrato anche un altro VCC, ma pure in questo caso la granata non è scoppiata).
Nel frattempo il nemico riceveva rinforzi e munizioni, fatti affluire usando le ambulanze del vicino ospedale. La sparatoria tra le due sponde cresceva d’intensità e vedeva l’uso di Panzerfaust (15 razzi) e Milan (4 missili) per neutralizzare le postazioni sadriste, particolarmente forti sul secondo ponte. Il terzo ponte, a schiena d’asino, ostacolava la visuale dell’altra sponda, perciò alcuni fucilieri del San Marco si sono arrampicati alla sommità del parapetto per poter scorgere coi binocoli che cosa li aspettasse dall’altra parte: donne, bambini e miliziani. La visione di civili in mezzo alla strada ha portato alla decisione di non forzare le difese nemiche per evitare il massacro.
La battaglia si è protratta fino a mezzogiorno quando una tregua precaria è stata concordata tra i belligeranti per permettere l’avvio di trattative. Alle ore 15 queste ultime hanno portato all’accordo: la sponda sud restava in mano italiana e quella nord veniva affidata alla sorveglianza della polizia irachena. Il disimpegno italiano è stato accompagnato da uno scambio di fucileria, in violazione dell’accordo appena preso, che è durato per un’ora, prima del termine delle aperte ostilità portando a 30.000 il numero totale dei colpi d’arma leggera consumati dai militari italiani (da sottolineare che è stato necessario rifornire la prima linea per cinque volte durante la giornata).
Il bilancio finale ufficiale della giornata ha registrato il ferimento di 12 militari italiani e l’uccisione di 15 iracheni, anche se altre fonti parlano di almeno 25/50 morti fra gli insorti. Le lezioni istantanee da apprendere per i decisori politici e militari nostrani in vista di impegni futuri, si possono così riassumere (in ordine sparso).
1. Gli irregolari sciiti iracheni sono determinati e ben armati, ma hanno una mira cattiva.
2. La mancanza di appoggio aereo – e l’apertura del fiume ne avrebbe facilitato l’impiego – dotato di armamento di precisione allunga i tempi della battaglia terrestre e limita le possibilità di reazione (almeno le postazioni nemiche sui tetti e i mortai nelle retrovie potevano essere ingaggiate dall’alto).
3. Il mancato uso di velivoli da ricognizione pilotati da terra, unita alla vulnerabilità degli elicotteri in volo su aree abitate tenute da fanteria ostile, ha probabilmente fatto sì che i fucilieri di marina dovessero esporsi all’offesa nemica per ottenere informazioni sulla situazione al di là del terzo ponte.
4. Un numero limitato di mezzi corazzati tipo l’Achzarit israeliano avrebbe fatto comodo (se tutte le granate RPG fossero esplose, il bilancio finale delle perdite poteva essere ben diverso) dato che si sarebbe potuto trasportare con maggior sicurezza i rinforzi al di là del primo ponte.
5. Permettere il sicuro allontanamento dei miliziani sadristi da Nassiriya non riduce la minaccia alle nostre truppe: è più facile colpire un nemico concentrato che uno disperso.
6. La dotazione di munizionamento non letale di tipo avanzato avrebbe fornito al comandante sul posto un’opzione in più per tentare di separare donne e bambini dai ribelli.
7. Non tutte le palazzine che ospitano cecchini sono polverizzabili da pochi colpi di cannone calibro 105 mm.
8. Il (non scontato) coraggio decisionale mostrato nell’accettare l’ordine britannico di liberare i ponti è pagante e da elogiare.
9. Più tiratori scelti significa meno munizioni da rifornire e meno perdite fra i civili da giustificare.
10. L’assenza totale di immagini televisive e fotografiche della battaglia insospettisce l’opinione pubblica: che esista davvero il Grande Selezionatore?
Tratto da www.paginedidifesa.it di Riccardo Cappelli